LUPARIA - AMICI SANT'AGOSTINO

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LUPARIA

Marco Ermes Luparia, è nato a Roma il 27 Agosto 1950 sposato con Leda Diodovich dal 1974 è padre di due figli (Cristiano e Damiano)
Ordinato Diacono Permanente nella Diocesi di Roma nel 1995.
Laureato in psicologia Clinica presso l’Università la Sapienza di Roma nel 1977 e successivamente specializzato in Psicoterapia Analitica nel 1981, in Psicoterapia Didattica nel 1983; formato in Medicina Psicosomatica nel 1981 ed in Bioetica presso l’UCSC di Roma nel 1993.
Laureato in Scienze Religiose presso ISSR della Pontificia Università Lateranense nel 1993.
Ha insegnato Antropologia Prenatale e Psicologia Clinica presso l’ISOE dell’Università di Urbino.
Attualmente insegna Psicologia Vocazionale presso il Master per la Formazione di Psicoterapeuti Vocazionali del ISSR della Pontificia Università Lateranense (in collaborazione con l’Apostolato Accademico Salvatoriano).
Presidente e Fondatore dell’Apostolato Accademico Salvatoriano (Ass. Pubblica di fedeli)
Presidente-Fondatore dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC)
Ha pubblicato numerosi lavori nell’ambito della Psicologia Clinica, Psicologia Prenatale e Psicologia Vocazionale, Psicologia e Spiritualità della Famiglia



Sentieri di speranza per la famiglia oggi
(Diac. Prof. Marco Ermes Luparia)


Introduzione

Ogni invito a scambiare  porzioni di esperienza  e di conoscenza intesa come dono da fare all’altro, rappresenta per me una occasione preziosa per meditare e per andare oltre lo scontato. Diventa una palestra di interiorità più che una prova di intelligenza. Non il narcisistico "che cosa io penso", bensì il più condivisibile "che cosa io sento".
E’  proprio con questo spirito di fraternità che mi accingo a stare con voi oggi. Nel pieno rispetto della vostra storia e della vostra ricchezza, chiedendovi fin da ora a non essere avari tra di voi e con me, come  non lo sarò a mia volta.
Non vi è docenza in merito all’uomo ed alla sua essenza che non appartenga pienamente al Creatore e chiunque va millantando i diritti di possesso, non fa che rapinare una sapienza non sua. Un bene ricevuto deve diventare a sua volta dono e deve essere sparso a piene mani con la gioia ed il vigore del seminatore. Spetta poi alla terra l’ultima parola sul germoglio prima e sulla pianta poi.
L’approccio particolare di questa mia riflessione vuole giungere all’obiettivo di integrare l’esperienza umana con la profondità spirituale del credente.
Oggi il mondo sollecita, se non colpisce in maniera mortale, le coscienze e la spiritualità dell’uomo moderno  fino  a mortificarle. Il laico, a differenza del consacrato,i vede gli spazi di spiritualità ridotti al lumicino dalla macina mortale del "fare". Spesso la quotidianità si vede costretta, per la sopravvivenza, a fare buon viso a cattivo gioco; ma altre volte, occorre essere sinceri,  la nostra disattenzione è un ha vera e propria caduta in tentazione. Il "fare" piuttosto che "l’essere" prende il sopravvento svuotando la nostra interiorità fino a creare il vuoto perfetto. A questo punto diventiamo preda del non senso. Non sappiamo più il perché siamo qui e dove  dobbiamo andare. La prima folata di vento porta via l’involucro vuoto senza che ci sia la minima zavorra ad ancorarlo alla pienezza della vita che solo  l’ "essere dentro" garantisce rispetto " all’apparire" fuori.
Ci proveremo allora nella maniera più semplice, più consona al nostro stato. Scandiremo i momenti forti della giornata e daremo loro prima un significato (il che cosa) e poi il senso (il perché ed il come).
Inoltre come fa il bravo medico faremo una diagnosi differenziale che ci dirà che cosa ci da salute e cosa ci fa rischiare la malattia.

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Il risveglio – Le lodi

Il risveglio è uno dei momenti topici della giornata e non tutti lo vivono alla stessa maniera. C’è chi si alza  grugnendo, chi si alza già pimpante, chi si alza come se stesse ancora dormendo e così via.
Da punto di vista ontogenetico, il risveglio ha una assonanza fortissima con il momento della nascita. Non è solo una questione simbolica, ma è proprio una reminiscenza di una esperienza di cui non  possiamo avere ricordi sul piano della memoria simbolica e quindi sul piano cognitivo. Insomma a grandi linee ci svegliamo un  po’ come siamo nati.
Il contatto con la realtà quotidiana inizia in questo momento topico e non può non risentire di quelle che sono le prospettive operative della giornata e più che mai delle preoccupazioni.
Quando la vita lavorativa o gli impegni di casa sono ricchi di soddisfazioni il risveglio è certamente gradevole, in caso contrario pur non avendo iniziato a fare nulla di faticoso diventiamo preda di una tenebrosa pesantezza.
Fin qui la condizione psicologica del singolo. Ma che accade nel momento in cui il sociodramma si allarga ad un "tu" presente 24 su 24? E poi, se i "tu" diventano più di uno per la presenza di uno o più figli?
Le cose non possono non complicarsi se non  altro per la molteplicità delle variabili in gioco. L’umore di uno è in grado di incidere sull’umore dell’altro oppure di tutta la famiglia. Se è il nervosismo a prevalere con estrema facilità potrà diventare contagioso. Per cui la qualità di un risveglio si va ad intersecare con la qualità del risveglio dell’altro alzando o abbassando la tensione domestica.
Non  credo che giovi soffermarsi molto su queste postazioni, quanto detto è più che sufficiente. La domanda che mi pongo e che vi pongo è la seguente: è proprio inevitabile che i risvolti psicologici quali il carattere, i condizionamenti, la storia personale  debba necessariamente farla da tiranno per tutti? Pur nel rispetto delle diversità, esistono modalità che facciano incontrare piuttosto che collidere?. La psiche umana che agisce con il criterio del "cicero pro domo sua", non potrà essere di grande aiuto. Il mio Io vale più del tuo quindi: "Ho i nervi  levati di torno" oppure "Hai nervi vatteli a sfogare da un’altra parte".
Fuori del grande contenitore sentimentale in cui tutti i membri della famiglie dovrebbero convivere le soluzioni si fanno remote. All’interno del contenitore amoroso invece tutto si rende più possibile, la condizione però è che nessuno ne esca.
Dobbiamo andare alla ricerca di altri requisiti che non attingono alla dimensione psicologica e quello per eccellenza è la spiritualità.
Sul piano spirituale il risveglio evoca  una rinascita interiore, una nuova opportunità ed una apertura al  mistero della giornata, dove gli eventi sono solo parzialmente programmabili. Solo l’ossatura della giornata è pianificabile, ma appartiene alla superficie dell’esperienza vitale; già se scendiamo di un gradino verso il nostro animo, ci rendiamo conto che c’è un fiume, di cui non siamo i proprietari, alla cui corrente dobbiamo dolcemente lasciarci andare e cullati non ci rimane che attendere.
Tutta la scialuppa lo naviga anche se ognuno viene chiamato ad "esserci" in un modo particolare, con un compito particolare, con un fine particolare.

Se il Signore non costruisce la casa invano faticano i costruttori! (Sal 127, 1)

Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete e berrete,e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vostra vita non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né ammassano nei grani; eppure il Padre vostro li nutre. Non contate voi forse più di loro? (Mt 6,25-26).

Anche se il Vangelo ci viene in contro con parole dolci e rassicuranti, la vita di tutti i giorni ci fa scontrare con la dura realtà. Così come abbiamo detto nell’introduzione non possiamo diventare dei contemplativi, come fare nostro questo invito e conciliarlo con i naturali affanni?
Cominciamo dal mattino a dare un senso al risveglio ed alle persone che incontreremo in cucina, in camera da letto, al bagno o nel salone. E cosa troviamo?
Il valore del sorriso. Il sorriso non costa nulla e fa un gran bene a chi  lo offre e a chi lo riceve. Il sorriso non è solo un frammento di comportamento, ma è anche un segnale con dei significati, è una archetipo che attinge nella notte dei tempi. Il sorriso è l’anticamera di una esperienza di frontiera tra lo spirituale e relazionale dai presupposti  gratificanti. Il cuore e l’anima mostrano una prima consonanza proprio con il sorriso che vuole dire "pace a te!".  

" Dall’aspetto si conosce l’uomo di senno. Il vestito di un uomo, la bocca sorridente e la sua andatura rivelano quello che è." (Sir 19,26-27)

La vita fatta di gesti routinari con questo semplice gesto darà così inizio al percorso contemplativo della giornata. La pace data ritornerà su di noi e ci scalderà il cuore qualunque sia lo stato d’animo.
Il bacio santo della pace. Il sorriso può essere per tutti il bacio della pace e per gli intimi. E chi è più intimo dei propri familiari. Da che mondo e mondo il contatto epidermico e sinonimo di elezione anche oggi purtroppo non è più così. Il darsi la mano è un segno iniziale di apertura, il bacio sulla guancia di familiarità, il bacio sulle labbra di intimità profonda. Il non avere alcun contatto è segno di diffidenza se non di ostilità.
Il bacio del buon giorno scambiato tra marito e moglie tra i fratelli e con i genitori è una parte importantissima della liturgia domestica del risveglio senza il quale nessuno potrà prevedere come proseguirà la giornata, visti gli inciampi umani a cui è soggetta. Anche il bacio diventa una esperienza spirituale che fa da deterrente, che previene le tensioni o quantomeno mette in una disposizione d’animo più benevola gli uni con gli altri.
Ma tutto questo ha solo un significato orizzontale, per così dire solo umano. Prende spessore pienamente spirituale costituendo quel contenitore di cui parlavo solo se dal guardarsi l’uno di fronte all’altro, alla fine  tutti insieme alzano il viso verso l’alto secondo i criteri di una mistica familiare alla ricerca dell’aiuto cementante dell’Artefice della vita del loro amore.
La preghiera delle Lodi ha proprio questa finalità. La famiglia si fa comunità che cerca la comunione a dispetto delle miserie e delle fragilità individuali, per rendere lode, per ringraziare il Signore della notte conservata alla vita per  una nuova giornata e per chiedere gli strumenti atti a limare le personali asperità.


Il saluto – Il bacio santo di Paolo

"Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo", così Paolo conclude i saluti a suoi all’inizio del Capitolo 16  della Lettera ai Romani.

Anche il saluto, gesto spesso frettoloso, il più delle volte cade sotto la mannaia degli automatismi. Ma riflettiamo un attimo! E’ un momento di separazione, dove le varie autonomie si affermano attraverso il distacco fisico. Per un certo numero di ore non ci vedremo e forse non ci sentiremo, che cosa rimane allora del "noi". Nulla sul piano sensoriale, certamente molto sul piano sentimentale, ma solo se lo vogliamo. Solo se la soglia di casa non rappresenta una scissura, un trampolino verso una libertà mal usata, per una libertà adolescenziale.
Il saluto in psicologia è l’oggetto transizionale che getta un ponte sull’intera giornata, che fa vivere la libertà con la pienezza comunque dell’"esserci dell’altro" anche nell’invisibilità.
Purtroppo va rimarcato che anche il mondo dei sentimenti è fragile. Il saluto allora rappresenta il passaggio dal contenitore visibile fisico-sentimentale a quello invisibile sentimentale-spirituale.
Il saluto è la sanzione dell’amore e il rinnovo della promessa; è il deterrente nei confronti di ogni forma di insidia da qualunque parte venga.
Ecco allora che il saluto sulla soglia di casa assomiglia al congedo della Messa, momento in cui dalla affermazione di fede si passa a testimonianza di vita. L’Eucarestia comunitaria prepara alle sollecitazioni del mondo ed allo stesso modo dell’augurio affettuoso di congedo.
Ecco allora che viene da se l’importanza di mettere cura a questo momento anch’esso parte della liturgia domestica di cui sopra.  Meglio ancora se al saluto si associano delle parole di benedizione reciproca.
La semplicità di queste indicazioni e riflessioni non deve essere sottovalutata, poiché è proprio la semplicità a contraddistinguere la vita contemplativa e la vita interiore.
  
Il ricordo – L’ora media

Oggi sono in  molti a salutarsi sulla soglia di casa per  andare  a lavorare ( od a scuola). Anche questo momento di separazione fisica è può diventare tempo prezioso di ricordo nella contemplazione. I meccanismi psicologici dell’assenza ci dicono che il tempo del distacco è un tempo doloroso, ma nello stesso tempo prezioso perché rinvigorisce il bisogno l’uno dell’altro.
Questo bisogno può diventare "non vita" e questo è il segno di un legame simbiotico nel quale i due si perdono in un noi indifferenziato, oppure un passaggio da una presenza di qualità ad un rincontro altrettanto di qualità.
E’ vero che la memoria è quella caratteristica della psiche che permette di gettare un ponte vivo verso un passato vissuto con una certa intensità, soprattutto se si riferisce a persone significative sentimentalmente. Già questo consente di mantenere stretto il legame e sapere che siamo nei pensieri della persona cara, ci gratifica e ci fa stare bene.
Ma sappiamo anche che la psiche è fragile, è una parte speciale della corporeità ed in quanto tale è distraibile, può essere attratta da altri fatti o persone. Infatti va detto che molte delle insidie che attaccano la persona, e soprattutto la persona di fede, si trovano fuori della famiglia.
Il tempo passato in famiglia si riduce sempre di più a fronte di un tempo "infinito" passato al lavoro. La comunicazione in famiglia è ridotta ad un lumicino, vuoi per il tempo residuo della giornata, vuoi per la stanchezza.
Ecco allora che dobbiamo attaccarci con tutte le forze alla dimensione spirituale, l’unica in grado di attivare potenti anticorpi e fare si che le sirene del mondo perdono la loro efficacia.
Il posto di lavoro deve diventare, anche se per pochi minuti, il tempo della contemplazione e del ricordo nella preghiera.
La liturgia delle ore ci viene in aiuto in questo senso. Essa crea una forte arcata tra tutti i componenti della famiglia che si incontrano spiritualmente ad una certa ora (ognuno dove si trova) lasciando che la misteriosa forza unificatrice dello spirito faccia il suo effetto. Sono pochi minuti che servono a spezzare  i massacranti ritmi, potenziare i legami nel ricordo dei benefici scambiati nel tempo della presenza. Ecco cosa si legge nel libro dei Maccabei:

"Vi prego dunque e vi scongiuro di ricordarvi dei benefici ricevuti pubblicamente o privatamente e prego ciascuno di conservare la vostra benevolenza verso di me e mio figlio. Ho fiducia che egli si comporterà con voi con moderazione ed umanità secondo le mie direttive" (2 Mac 9,26)

Paradossalmente la separazione fa diventare un momento di riservata solitudine un piccolo eremo nel quale alla preghiera si mescola una meditazione sugli eventi quotidiani della storia di amore: il ricordo di un momento di intimità vissuto bene, cercare le motivazioni recondite di un  litigio, il cosa è meglio fare in riferimento alla situazione difficoltosa con un figlio.
Non sempre è possibile fare ciò a casa, con tutte le varie incombenze domestiche. Ma la pausa pranzo (che coincide con l’ora media) è certamente un   momento favorevole e deve essere voluto con tutte le forze! Non solo per spezzare la giornata, ma anche per un cinque minuti esatti di preghiera (meglio ancora in un cappellina o chiesa, se ce ne una vicino l’ufficio).  Senza contare la forza evangelizzatrice di questa testimonianza per chi  ha difficoltà a vivere la fede o si trova in una situazione di immaturità.

Il ritrovarsi insieme – I vespri


Finalmente il tempo dell’incontro serale. Quanto poco si riflette sul fatto che potersi incontrare di nuovo è una grazia. Anche questo momento è diventato parte degli automatismi. Non si pensa che data la complessità ed i pericoli della vita moderna nel momento in cui noi entriamo in casa, qualcuno invece non lo ha potuto fare per qualche tragica evenienza. Bisogna essere realistici!
Non è allora una buona ragione per trasformare il ricomporsi serale della famiglia in occasione di festa? E’ una idea così peregrina?
E se ci siamo ritrovati sani e salvi tutti, figli compresi, è solo merito nostro? Il mondo materialista crede nella casualità, o come dicono gli adolescenti nella fortuna e nella scarogna, insomma è un mondo centrato sul fatalismo. Noi cristiani crediamo invece nella possibilità che ha il Signore di intervenire sulla nostra vita anche se lo fa sempre in funzione dell’andamento della nostra vita spirituale. La pretesa che un dialogo privilegiato con il Buon Dio garantisca dalle disgrazie terrene è parte di una visione molto immatura della fede, che non tiene conto della libertà dell’uomo e del rispetto che il Creatore ha di questa libertà.
"Egli riserva ai giusti la sua protezione e scudo a coloro che agiscono con rettitudine, vegliando sui sentieri della giustizia e custodendo le vie dei suoi amici." (Pr 2,7-8)

Laddove è possibile, è molto bello che la famiglia ritagli un momento di preghiera  di ringraziamento. Ecco ancora uno stralcio di contemplazione familiare, nella quale insieme ed anche singolarmente si riveda la giornata e si leggano con gli occhi della fede gli eventi che l’hanno contraddistinta. Non ha importanza che sia la preghiera canonica dei Vespri, qualunque altra preghiera unita ad una breve meditazione mette l’anima davanti a Dio elevandola a Lui con un gesto di riconoscenza.
In fondo la vita interiore anche se come immagine sembra andare in un sito profondo ed invisibile, in realtà si proietta fuori di sé alla ricerca dell’invisibile che è nel cielo: il Padre Celeste. Interiorità ed estroflessione spirituale coincidono secondo la bella logica della circolarità in cui i due estremi del cerchio incidono sullo stesso punto.
L’incontro serale è anche occasione per la preghiera di riconciliazione prima dell’eucarestia domestica (da non confondere con  l’Eucarestia quale memoria pasquale). Se ci si è lasciati con un piccolo contenzioso, il bacio dell’incontro può essere l’inizio fecondo di una pace duratura e più matura.

La tavola – l’agape

La tavola è l’occasione più bella per pregare con i gesti. Non è solo occasione di scambio verbale. Vi è tutta una liturgia che ci dice la qualità dell’incontro. La tavola è una celebrazione semplice dell’amore domestico. Ogni gesto è  parte di questa liturgia e va considerato sacro.  Quali sono questi gesti? La preparazione del cibo, la preparazione della tavola, il servire il cibo, il consumarlo, lo sparecchiare della tavola.
La preparazione del cibo, per molti viene considerato un gesto servile ed in quanto tale faticoso, insomma una incombenza. Molto spesso è la donna a lamentarsi di questa ulteriore fatica dopo quella del lavoro. fuori casa. Proviamo invece a rivedere il tutto in chiave spirituale e contemplativa. Se riusciremo ad essere chiari in questo esempio, ogni altro onere familiare può essere rivisitato secondo una  luce nuova.

"La donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto.....Si alza quando ancora è notte e prepara il cibo alla sua famiglia." (Pr 31,10-15)

Se ogni gesto familiare è una porzione di preghiera del corpo e dell’azione, la preparazione del cibo è un privilegio! Se non  ritorniamo indietro nel tempo,  per esempio ai nostri nonni, ricorderemo certamente che la cucina era terra sacra e vietata a chiunque. La cucina era il mondo personale nel quale la donna esprimeva tutto il suo amore, e la cura per i "suoi". Il cibo doveva essere accurato in tutti i sensi: buono, bello a vedersi oppure speciale per chi aveva bisogno di una dieta particolare per problemi fisici. Non credo di essere esagerato nel dire che il cibo veniva curato come vera e propria "eucaristia " (cibo buono).
Il confezionamento del cibo in quanto gesto sacro e della cucina quale "sacrestia domestica", è una  occasione ghiotta di preghiera contemplativa edificante per chi lo vive e chi lo vede compiere e se ne ciba.
Il servire il cibo , secondo questa linea interpretativa è un atto  per così dire "sacerdotale". Gesù stesso che non "è venuto per essere servito, ma per servire" lo ha fatto nell’ultima cena. Egli ha servito il cibo pur essendo il Maestro, l’invitato speciale. Dopo di ciò lavò i piedi ai suoi. In questa ottica anche il servire il cibo è frutto di una elezione. Chiunque lo fa deve sapere che sta celebrando una parte del rito dell’amore domestico. Il porgere il pianto in  una tavola   sciatta, oppure in modo sgarbato, oppure assente, ecc. mortifica la grandiosità del momento oltre che l’impegno di chi lo ha preparato. E se a compiere questi gesti inidonei è proprio chi ha cucinato, rischia di vedere vanificato tutto il suo impegno. Il cibo cucinato bene rimane buono, ma il sapore si perde nella bocca resa amara dall’astio e della guerra.
"Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli" (Lc 12,37)

"Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi  dei discepoli ed a asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto." (Gv 13,5)

Il consumarlo . Immaginiamo la nostra partecipazione alla Santa Messa domenicale. Non sempre siamo pienamente attenti. Alcune volte siamo distratti a causa di preoccupazioni, oppure siamo portati con la mente altrove per una personale disattenzione spirituale verso i santi misteri. Usciamo dalla Chiesa con un senso di "niente", di povertà spirituale.
Nella liturgia domestica il consumare il cibo vede una varietà infinità di comportamenti. Lo stare a tavola secondo un tempo di sopportazione personale (chi si alza quando a finito, lasciando gli altri al desco), chi mangia in piedi, chi mangia guardando la televisione, chi mangia con la faccia infilata dentro il piatto facendo chiaramente capire che non vuole essere infastidito, ecc. ecc.
Se il cibo è santo, deve essere consumato secondo dei criteri che dicono che è "buono" al di là del suo sapore e del suo costo, è buono perché è stato preparato con amore e servito con dedizione. Il suo essere buono non solo nel sapore, ma per tutto ciò che precede e per l’occasione di incontro che crea. Mangiare come preghiera. Pensate che la traduzione latina del verbo adorare  deriva  da "ad os", vale a dire "portare alla bocca". E’ curioso, ma se ripensiamo all’Eucarestia o ai riti degli ebrei, o anche quelli pagani, l’adorazione  della divinità a il suo culmine con il mangiare insieme (agape)
" Va, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tue opere. In ogni tempo le tue vesti siano bianche ed il profumo non manchi dal tuo capo" (Qo 9,7-8)

Lo sparecchiare la tavola. Se il preparare il cibo è un gesto sacerdotale, lo sparecchiare la tavola è un gesto diaconale. Un gesto di servizio alla mensa resa sacra dalle persone che vi hanno partecipato. Sparecchiare non è gesto servile rispetto al cucinare, ma un gesto di riconoscenza e di purificazione. Lo sparecchiare è il segno della comunione ecclesiale della chiesa domestica. E’ ancora parte integrante della preghiera e momento prezioso di ringraziamento personale. Spesso lo fanno anche gli ospiti dando il segno di familiarità e del loro piacere dell’essere stati insieme a tavola. Lo sparecchiare può essere considerato come fase del movimento ascetico personale verso la vera umiltà del cuore, ed in quanto tale, opportunità di crescita.

La sera

     Il tempo dello scambio

Alla fine della giornata, dopo la cena, questa rimane l’ultima opportunità comunitaria in una famiglia composta da genitori e figli. Vedremo invece tra un attimo che la coppia di sposi ha ancora una possibilità che è rappresentata dal ritirarsi presso il talamo.
La Messa è costituita da due parti fondamentali: la liturgia della parola e la liturgia eucaristica. Poichè del buon pane domestico spezzato a tavola ne abbiamo già parlato, non rimane che l’altro. Lo scambio in famiglia assomiglia molto, nella liturgia domestica la Liturgia della Parola nella Messa.
Si passa dalla Parola di vita all’attualizzazione nella "parola (dialogo) nella vita". La comunicazione nella vita familiare ha un valore fondamentale. La componente contenutistica della comunicazione può addirittura essere vanificata senza il rispetto dei criteri minimi di una comunicazione efficace.
La struttura di una comunicazione è costituita da una emittente, una ricevente, il contenuto, il mezzo di propagazione del messaggio.
Questi elementi devono sussistere tutti contemporaneamente. Se il ricevente è sintonizzato su un’altra lunghezza d‘onda, tutto il resto è vanificato. Se il contenuto non ha significanza, ovvero non ha valore per il ricevente, questi squalificherà l’intero messaggio. Se sussistono elementi di disturbo (musica, televisivo, telefono, ecc) il messaggio rischia di essere distorto.
Questi criteri valgono sia nella relazione interpersonale, che nella preghiera (dialogo con il Signore) che nella esperienza di introspezione (meditazione).
Il buon ascolto è il fondamento dell’esperienza in famiglia, dei gradini spirituali così ben rappresentati da San Paolo:carità, mitezza, misericordia.
Il primo gesto di una carità pregata è ascoltare. Non c’è accoglienza piena dell’altro se non ci si pone autenticamente in una situazione di attenzione. Nell’ascolto autentico  l’altro si sente valorizzato e con lui anche ciò che c’è dentro di lui: le sue gioie, le sue sofferenze, il suo dolore, il suo bisogno.
Gettando lo sguardo sull’insieme del sistema famiglia ci accorgiamo che se tutto va per il verso giusto, il dialogo serale diventa preghiera agapica dove l’uno si offre all’altro, si fa per così dire, "mangiare". Diventa egli stesso cibo, cibo buono per l’altro. Insomma diventa una esperienza di amore circolare.
"Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro e poiché doveva partire il giorno dopo prolungo la conversazione fino a mezzanotte" (At 20.7)

        Il tempo dell’amore

La giornata volge alla fine e si giunge al tempo del riposo, oppure dell’intimità coniugale. Il talamo nuziale continua ad essere un momento della liturgia domestica e porta con se l’elevazione a liturgia nuziale. Esso ricalca l’invito all’amore ed alla fecondità a cui il Signore ha chiamato le sue creature fina da tempo della Creazione.

"Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie ed i due saranno una carne sola" (Gn 18,24)

Il sacramento del Matrimonio è il primo dei Sacramenti in ordine cronologico ed è l’unico istituito direttamente da Dio. E’ un sacramento sponsale da cui nasce la vita e tutto ciò che ne segue.
L’intimità del matrimonio è parte integrante della coesione di coppia ed anche se non è l’unico elemento su cui la coppia deve basare la propria armonia rimane pur sempre il segno visibile del volersi per amore, con amore, nell’amore.
Detto questo così come abbiamo rappresentato gli altri momenti della giornata in famiglia, anche l’incontro d’amore può essere configurato come parte delle liturgia, quale preghiera di ringraziamento al Signore del dono che è stato fatto alla coppia nel suo insieme  e del dono che si fanno reciprocamente.
In fondo il farsi una carne sola può e deve diventare un inno alla vita ed esperienza di riconoscenza verticale e ed orizzontale.
E’ molto bello ed illuminante il brano del libro  Tobia in cui si legge::

"La sera delle nozze, Tobia disse a Sara sua sposa: <<Noi siamo figli di santi e non possiamo unirci alla maniera di quelli che non conoscono Dio>>. Stando perciò alzati tutti e due si misero a pregare con grande fervore, per essere salvati." (Tb 8,5 – Testo della volgata)

Il talamo nuziale diventa l’altare dove si celebra la passione e della tenerezza di Dio, affidata all’uomo come scintilla propria parte dell’infinita luce del Suo stesso Cuore.
Il termine passione non deve trarre in inganno. Con esso non si intende l’insieme delle passioni umane intese come pulsioni irrefrenabili legate all’istintualità, fosse anche quella amorosa a cui ogni uomo è chiamato, ma la disponibilità a soffrire e sacrificarsi per questo amore.
Anche la tenerezza ha visto una distorsione dei suoi significati. Nell’immaginario comune la tenerezza è inferiore gerarchicamente al sentimento della amore. In realtà non è così. La tenerezza è molto più elevata, poiché si può amare ed essere incapaci di tenerezza.
Se l’amore è la fusione dell’istintualità e della razionalità (l’Io), la tenerezza è la fusione dell’amore e della sensualità. Sensualità quale gesto concreto e sensibile in cui l’uno fa sentire all’altro il suo sentimento con assoluta gratuità.
Ecco allora che una liturgia nuziale nel tempio santo della stanza da letto, che non abbia questo connotato di tenerezza, abbassa l’atto d’amore a gesto sbrigativo (forse anche un pò egoistico) e mirato solo ed esclusivamente alla gratificazione sessuale, togliendone tutta la sacralità.
Perché, che si voglia o no, il corpo dell’uno ed il corpo dell’altra sono da considerarsi sacri in quanto in essi si è iscritta la legge della vita emanata da Dio ed affidata all’uomo.
Se nella mensa domestica si mangia il pane buono, nell’atto d’amore l’uno si fa "eucaristia" dell’altro, per cui le mani, ed i sentimenti devone essere adeguati ad un atto liturgico, sentendone la responsabilità ed il privilegio.
Come si vede anche ciò che di più carnale esiste nella vita dell’uomo, così dissacrato nel mondo, può diventare esperienza di contemplazione.

La buonanotte – la compieta

Questa volta siamo proprio alla fine della giornata. Anche il tempo del lavoro o il tempo dell’amore è giunto alla conclusione e ci aspetta il riposo e la pausa notturna. Il sonno, o il tempo della notte, viene molto valorizzato dal punto di vista spirituale. La notte le nostre difese sono completamente abbassate. Ecco ciò che si prega nella lettura della compieta del martedì:
"Siate temperanti e vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede" (1 Pt 5,8-9)

Al di là della rappresentazione biblica è vero che ci troviamo sguarniti sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista spirituale.
Ecco allora che la preghiera della sera diventa il ponte gettato tra le due veglie. In questa preghiera di ringraziamento andiamo a compiere il gesto più inviso al nemico dell’uomo, compiendo l’ultimo gesto di umiltà filiale nei confronti di Dio.  Affidiamo a lui il nostro sonno e la cura e la protezione della nostra anima.
La compieta pregata in due o con tutta la famiglia crea un baluardo amplificato poiché la buonanotte non è solo un augurio, ma diventa parola benedicente e di pace. E di nuovo vediamo che il gesto semplice del saluto va ad arricchire la vita contemplativa della famiglia inserendosi a pieno titolo nella liturgia domestica. Lo "Scambiatevi un gesto di pace" che durante il giorno non trova la sua giusta collocazione si incastra perfettamente alla fine della giornata .
"Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo" (Ef 4,26-27.31-32).

"Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondavano vino e frumento. In pace mi corico e subito mi addormento: solo tu, Signore, al sicuro mi fai riposare (Sal 4,8-9)

Il cuore in pace lancia l’anima lungo il percorso della notte che diventa il viaggio  nel silenzio dell’anima che accolta e protetta si alloca come il bimbo nel grembo materno dentro lo stesso cuore di Dio.



       




 
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